Addio ad un Maestro

Il 17 agosto 2003, all’età di 79 anni, è venuto a mancare il maestro zampognaio Luciano Di Fiore.

Nato a Scapoli il 15 febbraio 1924, Luciano inizia a suonare la zampogna da ragazzo all’età di 12 anni; una “28” (modello cui resterà particolarmente affezionato per tutta la vita) comprata usata dal costruttore Benedetto Di Fiore del quale, nel 1947, sarebbe diventato genero per averne sposato la figlia Antonia Anna. Alla costruzione comincia, invece, a dedicarsi in età piuttosto adulta, nel 1968.

Prima, cimentandosi con strumenti di piccolo formato, praticamente dei souvenirs; poi, con le “zoppe” e, infine, con le zampogne “a chiave” nei diversi modelli. Conquistandosi, così, uno spazio di tutto rispetto tra gli artigiani che negli ultimi trent’anni hanno mantenuto viva la tradizione della zampogna molisana, contribuendo a diffonderne l’uso e la conoscenza.

A tale riguardo, è distintiva del personaggio ed oltremodo apprezzabile la disponibilità di Luciano a trasmettere “i segreti del mestiere” ai più giovani e, non solo a quelli che si rivolgevano a lui direttamente, ma rendendosi anche disponibile ad insegnare le tecniche costruttive ed esecutive nell’ambito dei –purtroppo pochi- corsi organizzati a Scapoli, rispettivamente, nei primi anni ’80 e alla fine del 1999. Parallelamente, Luciano non ha mai smesso l’attività di suonatore: a Natale, a Sant’Antonio Abate, in occasione di feste e sagre, secondo i percorsi della tradizione e dovunque lo richiedessero amministrazioni locali, circoli, pro-loco e i tanti amici, in Italia e anche all’estero.

Alla domanda –che gli veniva rivolta spesso- da chi avesse imparato a costruire zampogne, orgogliosamente rispondeva che lui non aveva imparato niente da nessuno, nemmeno dal suocero (come molti azzardavano a supporre), ma che aveva fatto tutto da solo, piano piano, con la volontà e con la passione. Volontà e passione che noi tutti gli riconosciamo e che lo hanno portato fino all’ultimo, nonostante le precarie condizioni di salute degli ultimi tempi, ad aprire ogni mattina la bottega per provare ancora una volta quella “ritta”, per sistemare quel bordone, in attesa del cliente con il quale bere un bicchiere di vino e fumare l’ennesima irrinunciabile sigaretta. Quale che fosse l’esito della trattativa.

Perché da Luciano trovavi anche gentilezza e ospitalità, secondo l’antica usanza, e qualcos’altro che la sua generazione si porta via: una saggezza apparentemente semplice, una sorta di sottomissione –condivisa ma non priva di ammiccamenti alle novità- alla tradizione così com’era; una olimpica presa di distanza da un “nuovismo zampognaro” spesso affannoso e confuso perché, come ricostruisco dalle nostre frequentazioni facilitate dall’essere di famiglia, “la zampogna è la zampogna; va fatta come va fatta; deve suonare a modo; che altro?” Nient’altro, Luciano; nient’altro.Solo, ben fatto e addio.

Antonietta Caccia

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